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Perdere il lavoro? Da tragedia ad opportunità

L’esperienza di Marco De Biagi che racconta come la perdita dell’impiego spesso è un guadagno in termini di creatività e risorse

Non fatevi ingannare dal titolo, sicuramente provocatorio, specie in un’epoca in cui tutti aspirerebbero a dire il contrario. Non fatevi ingannare perché “Finalmente ho perso il lavoro!” sottotitolo “Liberi dalla paura e dall’attaccamento” (Intento, 13,50 €) non è certo un inno alla disoccupazione e nel frattempo stare nel limbo di un’attesa passiva.

Quello scritto da Marco De Biagi, 37 anni, (ex) formatore e organizzatore di eventi in ambito medico, parte da una situazione personale ma non è non è il mero racconto di una situazione personale. È invece un’analisi maturata di come il bisogno di lavorare spesso ci allontani da quello che un impiego dovrebbe darci: da vivere o non essere l’unica cosa di “cui vivere”.

Ci racconta la sua storia e come è arrivato al libro?
Desideravo scriverlo da anni per condividere le cose che mi succedevano e le mie riflessioni sulla vita. Fino a che, dopo anni di lavoro per un settore condizionato dal profitto molto più di quello che si crede, mi viene comunicato che il rapporto professionale sta per interrompersi. Anzi, a essere precisi il lavoro l’ho perso…  due volte”.

In che senso?
La prima mi è stato dato un preavviso di 2 mesi, poi l’allarme sembrava rientrato: per tutto il 2014 avrei lavorato. E invece a 11 giorni di distanza mi arriva un’altra comunicazione, definitiva: 11 giorni dopo si sarebbe concluso il nostro rapporto di lavoro. Un co.co.co che durava da 7 anni. Era il gennaio del 2014. Il libro per me è stato un modo per non soccombere”.

Cosa che di solito, giustamente, succede a chi da un giorno all’altro si vede cambiare la propria vita…
Sì, e hai due scelte: farti prendere da ansia e paura o provare a dare una risposta. Quando ho scritto il primo capitolo c’era un entusiasmo forte ad accompagnarmi perché stavo appunto provando a rispondere a mio modo a un problema che affligge tutti. Mi spiego meglio: ok, non ho famiglia, ma come tutti ho “tante cose aperte” e anche per me sarebbe stato facile lasciarsi andare, invece ho provato a canalizzare costruttivamente il mio stato d’animo. Il libro è solo un ‘pezzetto’: ho iniziato chiedendo aiuto. Non bisogna vergognarsi. Ho chiamato il padrone di casa, gli ho spiegato tutto e gli ho detto: ‘Se vuoi ti lascio l’appartamento il prossimo mese, ma visto che l’ho sempre pagato ti chiedo di venirmi incontro’. Ha apprezzato e l’ha ridotto di tanto, quella per l’affitto era per me la spesa più consistente e difficile da gestire. Per le altre conduco una vita piuttosto semplice”.

Lei parla del lavoro come una dipendenza che scaturisce da rabbia e paura. Lo paragona a quello che è la sigaretta per un fumatore. Non rischiamo così di sminuire crisi e disoccupazione?
La crisi è reale, la paura è reale, non direi mai il contrario. Quello che invece dovremmo capire è questo modo di gestire le cose ci porta a un impoverimento di valori. Siamo in una società il cui profitto è alla base di tutto, più importante delle persone e ci viene fatto credere che il benessere passi dall’avere uno stipendio che ci serve per compare l’ultimo modello di cellulare o avere cose che spesso neanche ci servono. La crisi ci deve aiutare a vedere meglio una realtà deformata. Se la mia crescita personale dipende dalla crescita del conto in banca sarò sempre dipendente. E invece dobbiamo tornare a concepire il lavoro come benessere collettivo, cosa che fa solo qualche imprenditore illuminato come Brunello Cucinelli”.

Al momento lei lavora?
A ottobre parte un mio progetto di agenzia di eventi online dal nome Self Help Academy. Avrei potuto accettare alcuni  lavori, ma proprio per non rientrare subito in un meccanismo che non condivido ho preferito fermarmi un attimo per provare a dare una risposta creativa. Mi sono dato tempo un anno: se non ce l’avrò fatta, rivaluterò alcune situazioni. E il libro ovviamente non risolve i problemi di lavoro, anche se è un bel traguardo”.

Cosa ha imparato finora?
Che l’attimo che vivo è pieno di significato. Prima davo per scontato tutto. Sparendo i soldi scompare il potere di acquisto di alcune cose e scegli solo quello che ti serve davvero. Ho imparato che, oltre che lavoratore e cittadino, sono una persona che vive su questa terra. E come tale ho imparato a essere attivo, a fare tutto con energia e umiltà. Infine, ho imparato a confidare negli eventi".

Sarebbe a dire nel destino?
No, vuol dire lasciare aperta la speranza ed essere positivi. Quando la seconda volta mi hanno detto che avrei perso il lavoro, io sarei dovuto partire per l’India. Se non fossi partito, avrei perso l’80% del viaggio. Ho scelto di andare e durante lo scalo a Istanbul, scopro che la compagnia ha messo in vendita più biglietti di quanti erano i posti effettivi, così mi tocca restare una notte lì. Anziché reagire con rabbia, accetto la situazione e ci “guadagno”: per risarcirmi, la compagnia mi dà un rimborso di 600 euro. Soldi che a me, in procinto di essere disoccupato, arrivavano così senza avere fatto nulla…”.