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Wall Street ai massimi. L’euforia continua

Finalmente, dopo un autunno incerto per gran parte del tempo e galvanizzato solo dalla “sorpresa Trump”, SP500, l’indice più rappresentativo del mercato azionario americano, è riuscito a segnare ieri un nuovo massimo storico, violando la precedente vetta di 2.194 punti, che resisteva dal mese di settembre, e chiudendo la seduta a 2.198. Davanti all’indice non ci sono più ostacoli che non siano solo psicologici. Il primo livello psicologico è già lì: quella cifra tonda di 2.200 punti che sarà testata già oggi.

La giornata di grazia dell’azionario USA non ha contagiato troppo le borse europee, scosse anche ieri nella mattinata da copiose vendite, soprattutto sui bancari, e riuscite, solo grazie alla buona vena di Wall Street nel pomeriggio, a salvare la seduta con rialzi modestissimi, che lasciano le resistenze inviolate.

Il nostro Ftse-Mib, che ieri ha pure staccato un po’ di dividendi, al mattino è sembrato soccombere sotto il peso delle vendite su tutte le banche ed ha testato il forte supporto di 16.000 punti, oltre il quale si prospetta un salto in basso di altri 1.000 punti.

A giudicare da come si sta incattivendo la campagna elettorale per il referendum, dove tutte le armi sono buone per terrorizzare gli elettori e spingerli a votare SI, persino la boutade del Financial Times, che ha evocato addirittura l’uscita dell’Italia dall’euro se vincesse il NO il 4 dicembre.

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E’ un fatto comunque che tutti i progetti di risanamento delle banche italiane, in primis MPS (BSE: MPSLTD.BO - notizie) e Unicredit (EUREX: DE000A163206.EX - notizie) , sono bloccati e sospesi fino all’esito del Referendum. Oggi non si trova nessun investitore internazionale disposto ad impegnarsi negli aumenti di capitale che queste banche dovranno varare entro quest’anno su richiesta della BCE (Toronto: BCE-PRA.TO - notizie) . Perciò non stupisce la debolezza del settore, in grado di trascinare il nostro indice sotto il supporto di 16.000 prima del Referendum se venisse a mancare il traino degli indici americani, che del resto non possono salire all’infinito.

Alcuni degli asset che hanno trascinato l’impulso del dopo-Trump (rendimenti obbligazionari e dollaro in primis) ieri hanno dato i primi segnali di stanchezza, che possono portare una momentanea correzione. Azionario e materie prime, che avevano proceduto al rialzo ad un ritmo meno incalzante, hanno continuato a salire, ma anch’essi stanno comunque arrivando ad eccessi rialzisti che potrebbero contemplare una pausa.

In questo quadro preoccupa l’incapacità europea di recuperare i livelli di resistenza intorno ai 3.100 punti di Eurostoxx50 e di 10.800 per il Dax, nonostante l’aiuto offerto dall’ottimismo americano. Ieri a questo ottimismo si è aggiunto anche quello di Draghi, che però continua ostinatamente ad insistere sulla necessità di continuare lo stimolo monetario ancora a lungo, in contrasto con i tedeschi. Ieri il burbero ministro delle finanze tedesco Schaeuble, proprio mentre Draghi suonava al Parlamento Europeo la sua dolce melodia accomodante, gli ha fatto il controcanto, augurandosi che gli stimoli monetari finiscano presto.

Questa differenza di passo tra le due sponde dell’Atlantico, che si evidenzia nell’andamento dei listini, ma anche nel comportamento delle banche centrali (la FED ha ormai definitivamente cambiato il verso della politica monetaria in senso restrittivo) è una spada di Damocle sul futuro immediato delle borse europee e rappresenta molto bene l’incertezza che solo l’esito del referendum italiano forse potrà sciogliere. Per passare la palla dell’incertezza al successivo appuntamento elettorale, in primavera, in Francia.

Autore: Pierluigi Gerbino Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online