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Il discorso di Draghi che ha cambiato il futuro dell'Eurozona

Draghi: Da Italia progressi su competitività, ma cruciali riforme

Il 26 luglio 2012 è una data che resterà impressa nella storia dell'Eurozona. Esattamente un anno fa, in un momento di forte instabilità economica e finanziaria, con lo spread che raggiungeva vette elevatissime e con la moneta unica a rischio, arrivò Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, a rassicurare tutti, mercati e FMI. Con una frase semplice, anche molto generica, che vista ad un anno di distanza però, è più comprensibile.

Gli interventi che a breve Mario Draghi potrebbe essere obbligato a mettere in pratica

"La Bce è pronta a tutto per preservare l'euro. E credetemi... sarà abbastanza". Parole rassicuranti che furono una vera e propria iniezione di fiducia per i mercati ma di scetticismo da parte di molti, in primis del numero uno della Bundesbank Jens Weidmann, che consigliò a Draghi di evitare ogni deragliamento dai compiti della Bce, "oltre i suoi compiti di difesa della stabilità monetaria".
Inizialmente, le parole di Draghi non ebbero molto effetto: lo spread rimase per settimane sulla soglia dei 480 punti base e i titoli di Stato italiani e spagnoli - obiettivo principale di salvataggio - sprofondarono. Soltanto dopo l'estate iniziò a muoversi qualcosa e ad un anno di distanza è possibile vederne chiaramente i risultati.

Guarda anche: la lista dei problemi cronici dell'Eurozona.

Tutto è cominciato a settembre, con il lancio del "Monetary outright transactions", meglio conosciuto come piano anti-spread: nel piano, molte misure tecniche, tra le quali l'Outright monetary transaction (Omt), ovvero l'acquisto illimitato di titoli sovrani con scadenza da 1 a 3 anni da parte dell'Eurotower, che è andato a sostituire il Securities markets program (Smp). Altre misure riguardarono il costo del denaro, con il tasso lasciato invariato allo 0,75% e l'inflazione fissa al 2% per l'intero anno, prevedendo un abbassamento soltanto nel 2013.

Guardandole in un ottica a lungo termine, le misure adottate da Draghi - che irritarono non poco la Germania - hanno dato una boccata d'ossigeno ai mercati. Lo dimostrano i recenti dati Thomson Reuters-Datastream: "dal 26 luglio 2012 chi ha investito nei titoli azionari del comparto Financial dell'indice Euro Stoxx 50 ha guadagnato oltre il 45 per cento. Per chi è andato sui tecnologici di quell'indice, il ritorno è stato del 32%, mentre pochi decimali più sotto troviamo i settori dei servizi di consumo e industriale, anch'essi a ridosso di un guadagno del 30%", scrive Goria su Linkiesta.

Un altro esempio dell'effcacia di queste misure? Gli indici di Italia e Spagna, il cui salvataggio è stata la principale mission di Draghi: sempre dati alla mano, l’indice MSCI Spain ha registrato ritorni prossimi al 38%, il miglior risultato dell' Eurozona; leggermente al di sotto l'indice MSCI Italy, in ascesa del 26% dallo scorso anno. Una buona resa ma non la migliore, complice l'instabilità politica del governo italiano e la difficoltà ad avviare riforme strutturali per il Paese, come richiesto dalla Troika.

Resta ancora un punto, annunciato da Draghi ma ancora non messo in atto: l'unione bancaria, step finale dell'integrazione politica e monetaria europea, con la Bce ai vertici con il ruolo di supervisore degli istituti bancari nazionali. Un piano necessario - secondo Draghi - per mettere al riparo l'universo bancario europeo dagli investitori internazionali, ma che tutt'oggi riscontra il niet della Germania. Reticenze che stanno ritardando l'iter, irritando non poco il numero uno della Bce: "La posta in gioco è troppo alta per consentire indebiti ritardi", ha dichiarato giorni fa al Parlamento Europeo, chiedendo a tutti "un'azione risoluta" da prendere nei prossimi mesi, per evitare "il principale rischio sistemico", ovvero "la recessione prolungata che sta indebolendo il sistema bancario, aumenta i premi di rischio e danneggia la capacità di credito".