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Minusvalenze azionarie e rischi di elusione fiscale

Domanda:

Presso la mia banca, fin dal 2001 sono depositate 1000 azioni di una azienda americana fallita per bancarotta già da alcuni anni, il cui valore d'acquisto è praticamente irrecuperabile. Le stesse azioni non sono più quotate e sono cancellate dai listini. Allo scopo di ottenere e decurtare la totale minusvalenza maturata, penso che dovrei comunque procedere ad una vendita fra privati, per consentire successivamente alla banca di utilizzare detta minusvalenza in detrazione a plusvalenze ottenute con il trading azionario. Esiste una procedura corretta, chiara, soprattutto dal punto di vista legale e fiscale, che mi consenta di recuperare almeno il 26% di tassazione previsto?

Risposta dell'esperto:

Per rispondere al quesito del gentile lettore, dobbiamo procedere ad alcune considerazioni. In primo luogo, non è permesso al privato cittadino, che non agisce in regime di impresa, dedurre perdite in conto capitale. In altre parole, in qualità di azionista di una società, se questa dovesse fallire, perderebbe tutto il capitale, che non a caso è definito come “capitale di rischio”.

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D’altro canto, per le regole generali che determinano le imposte sui redditi delle persone fisiche, potrebbe dedurre dalle plusvalenze realizzate come investitore le minusvalenze conseguite nell’ambito dell’attività di compravendita di titoli rappresentativi di capitale, prestiti o altro. In questo senso, ha ragione il gentile lettore quando prospetta una vendita a prezzo irrisorio, perché tale sarebbe il valore delle azioni in questione, al fine di realizzare una minusvalenza da imputare nella dichiarazione dei redditi.

Tuttavia, a norma dell’art. 37bis del Dpr. 600/73, si rischia di incappare nelle norme antielusive, di cui vale la pena riportare almeno il comma 1: “Sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”. Atti, fatti e negozi (contratti) comprendono ovviamente anche le compravendite di titoli. In altre parole, l’amministrazione disconosce l’operazione se “finta” ed effettuata senza valide ragioni economiche al solo fine di ottenere un risparmio di imposta.

E chi comprerebbe azioni senza nessun valore? Quale sarebbe il ragionevole motivo economico dell'acquisto? A parere di chi scrive, se le azioni, per quanto senza valore, fossero ancora rappresentative di una società, potrebbero essere acquistabili nella speranza, ad esempio, di ottenere una parte del capitale alla fine del fallimento, o di ottenere un diritto a sottoscrivere azioni di una nuova società. In questo caso si potrebbe vincere la presunzione dell’art. 37bis citato.

Se invece, come pare plausibile dopo tanti anni, le azioni in questione sono state annullate e non rappresentano più alcunchè, esse nei fatti sarebbero solo carta, l’operazione di compravendita sarebbe inattuabile sotto ogni punto di vista, e di conseguenza, non si potrebbe realizzare nella cessione nessuna minusvalenza fiscalmente deducibile.