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Il primo dazio lo pagano i mercati

La guerra commerciale entra in vigore oggi e si precisa meglio come un conflitto che interesserà direttamente USA, Cina e Russia. Ma intanto a pagare i primi dazi sono state le borse, che ieri sono letteralmente franate.

La seduta borsistica che si è vissuta ieri è stata un calvario per i mercati azionari, che hanno lanciato a Trump un messaggio piuttosto chiaro sui timori che gli investitori nutrono per le conseguenze sulla crescita mondiale che le copiose misure protezionistiche in arrivo potrebbero avere in futuro.

Che non fosse un buon momento per l’azionario lo si era già percepito nei giorni scorsi. La continuazione del processo di normalizzazione dei tassi confermata dalla FED mercoledì è arrivata in un contesto di crescita economica che si sta indebolendo nelle ultime settimane, sia in Europa che in USA. Lo conferma il Citi Surprise Index, l’indicatore ideato da Citgroup che misura la direzione e l’entità degli scostamenti che i dati macroeconomici americani, quotidianamente comunicati ai mercati, presentano rispetto alle attese degli analisti. La lettura di questo indice è abbastanza semplice. Se la sorpresa è positiva l’indice cresce, se invece è negativa l’indice cala. Un indice in calo rappresenta perciò un indebolimento della crescita, ed il passaggio in terreno negativo segnala una preponderanza di delusioni. Ebbene, nel primo trimestre di quest’anno l’indice è costantemente calato dai valori molto positivi raggiunti alla fine del 2017 e si sta avvicinando al livello zero. Anche il sentiment degli imprenditori, misurato dagli indicatori ISM e PMI, pur rimanendo in territorio positivo (per questi indici la positività coincide con valori superiori a 50), presentano un calo nelle ultime rilevazioni, sia in USA che in Europa.

In questo contesto anche il caso Datagate, esploso nei giorni scorsi, che ha trascinato sulla graticola Facebook (NasdaqGS: FB - notizie) ed il suo fondatore Zuckerberg, ha dato una decisa iniezione di realismo alla narrazione sulle “magnifiche sorti e progressive” del mondo tecnologico e dei Social Media, che si è scoperto essere in possesso di masse di dati riservati di miliardi di persone al mondo, ormai dipendenti dai social al punto da fornire senza cautela le autorizzazioni di privacy pur di utilizzare App gratuite. Questa montagna di dati fornisce loro un potere commerciale enorme (e questo lo si sapeva) ma recentemente si è acceso il faro anche sul potere politico e manipolativo della formazione delle opinioni personali, al punto da poter condizionare l’esito elettorale. Questa seconda potenzialità sta interessando le autorità di governo di tutto il mondo, spaventate dal fatto che il loro potere sia di fatto nelle mani di questi pochi grandi monopolisti dei social. Si preannunciano pertanto strette significative nella regolamentazione. La UE dovrebbe già a fine maggio far entrare in vigore un nuovo regolamento molto più restrittivo sul controllo della sicurezza informatica, e probabilmente altrettanto verrà fatto anche nel resto del mondo. Intanto in USA si è aperto un nuovo filone di indagini della FBI sui rapporti tra Trump e Cambridge Analytica, la società pirata che gestisce il business della manipolazione politica, che si aggiunge a quella sul Russiagate.

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Oltre le implicazioni politiche e regolamentari, è evidente che la vicenda offusca enormemente il futuro delle grandi sorelle della tecnologia del Nasdaq (Francoforte: 813516 - notizie) , che hanno fatto e pensavano ancora di fare sempre più soldi sul business del Big Data.

In questo quadro già deteriorato ieri si è aperto un nuovo capitolo della guerra commerciale avviata da Trump con i celebri dazi.

Innanzitutto, alla vigilia dell’entrata in vigore delle tariffe doganali sulle importazioni in USA di acciaio ed alluminio, si è chiarito meglio il perimetro di applicazione che partirà oggi. In extremis è stato evitato il coinvolgimento dell’Europa, che è stata provvisoriamente esentata in attesa che le trattative in corso portino ad un accordo più favorevole agli USA nell’interscambio commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. Con essa anche Corea del Sud, Brasile, Argentina, Australia, anch’esse in attesa di accordi. La portata del protezionismo si definisce e concentra pertanto su Cina, Russia ed India.

Ma il sospiro di sollievo è durato poco, perché subito Trump ha sferrato un secondo attacco alla Cina, firmando un ordine esecutivo che incarica l’Amministrazione di fissare nuove tariffe (si parla del 25%) su un centinaio di categorie commerciali di beni importati dalla Cina, per un ammontare di circa 60 miliardi di dollari. Ovviamente in aggiunta ai dazi che entrano in vigore oggi su acciaio ed alluminio. Inoltre verranno imposte restrizioni agli investimenti cinesi negli USA.

Un uno-due che ha imposto ai cinesi di rispondere immediatamente che verranno attuate immediate contromisure “chirurgiche”. Prende quindi avvio ufficiale la prima guerra commerciale dell’era della globalizzazione, che potrebbe far arretrare gran parte della crescita mondiale che il continuo processo di liberalizzazione dei commerci e dei capitali ha favorito negli ultimi 30 anni.

E’ evidente che una simile notizia, caduta su mercati già incerti ed intimoriti, ha causato il fuggi fuggi degli investitori, che hanno cominciato a vendere senza ritegno. Le borse UE hanno perso in media un po’ meno del 2%, grazie al sollievo per l’esenzione UE dai dazi, ma quelle USA hanno ceduto -2,52% con l’indice SP500, -2,93% il Dow Jones e -2,5% il Nasdaq100.

SP500, l’indice principale, ha chiuso a quota 2.643, praticamente sui minimi di una seduta che ha visto un’accelerazione negativa nella seconda metà, proprio in risposta al nuovo attacco di Trump alla Cina.

Ha così raggiunto e superato il primo obiettivo ribassista che avevo indicato nei giorni scorsi in area 2.650, ed oggi potrebbe procedere verso un nuovo test della media mobile di lungo periodo a 200 giorni, che ha accompagnato tutto il rialzo dell’era Trump ed è già stata testata durante la drammatica seduta del 9 febbraio scorso, al termine del drammatico crollo dei primi giorni di febbraio.

Allora aveva invogliato i compratori a rientrare a prezzi ritenuti di saldo, ora sembra chiamata a ripetere l’impresa. Che tuttavia appare un po’ più complicata, poiché mentre in febbraio il calo sembrava motivato più da una necessità di smaltir eccessi euforici, oggi un nuovo test potrebbe cadere in un momento di grave incertezza sui fondamentali della crescita mondiale.

Graficamente non c’è dubbio che la rottura della media mobile, confermata poi anche dalla rottura del minimo del 9 febbraio a quota 2.533, segnerebbe la definitiva fine del ciclo rialzista di lungo periodo, nato il lontano 9 marzo del 2009 e che ha compiuto da poco i 9 anni di vita. Si aprirebbe la fase orso di lungo periodo, che a mio parere potrebbe portare devastazioni paragonabili a quelle del 2008.

E’ ancora presto per vendere la pelle del… “Toro” prima che l’orso lo abbatta.

Attendiamo l’arrivo sui valori chiave e verifichiamo se i compratori torneranno di nuovo.

Per ora la scena è occupata dai venditori, che anche oggi dovrebbero avere il pallino in mano.

Lo constatiamo dai crolli che, inevitabilmente, si sono abbattuti nella notte sui mercati asiatici. Tokio ha già lasciato sul terreno il 5% circa, mentre in Cina le vendite per ora sacrificano gli indici intorno al 4% e tutti gli altri mercati asiatici sono in sofferenza.

E’ facile previsione un bagno di sangue iniziale anche per i mercati azionari europei, che ieri non hanno avuto il tempo di incorporare tutta la negatività americana ed oggi saranno impauriti anche dai crolli asiatici. La mattinata dovrebbe essere molto triste. Poi la linea tornerà ad essere dettata da Wall Street, che peraltro mi attendo che prosegue nella negatività di ieri.

Autore: Pierluigi Gerbino Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online